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RIVISTA N.68 - DIABETE/IPOGLICEMIA

MALEFATTE DELL’INSULINA

Il diabete è causato dall’alterazione di certe parti del pancreas che secernono l’insulina.
Ma i pazienti hanno quasi sempre abbastanza tessuti funzionali intatti nelle Isolette di Langerhans per fare fronte ai bisogni normali del corpo e avere dell’insulina se queste isolette sono ristabilite.
Ora, se si dà dell’insulina, ciò produce l’atrofia di queste strutture, così che quando il paziente è svezzato dall’insulina, non ha più tessuti che la secernono per ripararlo.
Più si utilizza l’insulina, e più grande sarà l’atrofia delle Isolette di Langerhans e il paziente diventa allora totalmente dipendente da sorgenti esterne per avere l’insulina.
Se le cause del diabete sono scostate prima che queste ghiandole siano distrutte, e se si procurano le cause della salute, il ristabilimento può prodursi.
Abitualmente, si dà dell’insulina e non si suggerisce alcun cambiamento nello stile di vita del paziente. In questo caso, l’insulina diventa una stampella che ferma tutti gli sforzi per trovare la strada di ritorno verso una salute autentica.
I medici non esitano ad intromettersi nel meccanismo e nelle funzioni della vita sganciando delle sostanze che provengono da sorgenti esterne in questo macchinario vitale.
Difatti, i prodotti estratti dalle ghiandole dei tori e delle capre non sembrano identici alle secrezioni delle ghiandole corrispondenti del corpo umano. Se no, perché si incontrano tutte quelle malefatte che seguono la loro amministrazione ripetuta?
Sebbene le secrezioni delle ghiandole dell’uomo diventino nocive solamente in eccesso di produzione, quelle degli animali sono nocive all’uomo anche in piccole dosi o in dosi ripetute.
Tuttavia, ciò non giustifica l’errore fallace fondamentale della terapia ghiandolare.
Difatti, l’errore fallace fondamentale è di provare a fornire delle secrezioni dall’esterno invece di cercare di restaurare l’efficacia funzionale delle ghiandole stesse dell’uomo.
Se la produzione o l’esagerazione del diabete non basta come complicazione, c’è inoltre la possibilità che il rimedio produca le seguenti malattie:

LE COMPLICAZIONI POSSIBILI DI L’INSULINA
-un ulcera stomacale o duodenale,
-uno stato poroso delle ossa,
-dei " disturbi " mentali ed emotivi,
-l’infiammazione delle arterie
-la malattia dei tessuti fibrosi connettivi.
Quando si considerano tutte le probabilità in quest’ultimo raggruppamento di malattie collageni, abbiamo un elenco molto lungo delle complicazioni che possono provenire dall’amministrazione continua dei prodotti fabbricati dal ramo farmaceutico delle fabbriche mediche.
Non ci sono rimedi innocui, e senza pericolo.
Tutti i medicinali, anche i meno tossici, se sono ripetuti, pure in piccole dosi, portano alla produzione di patologie,
Non è il culmine della stupidità di continuare tali pratiche, soprattutto quando producono tali malefatte e senza nessuna utilità autentica?
Tradotto e presentato da A. M. da Dr Shelton’s Hygienic Review, N° 7 vol. 21.

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RIVISTA N.69 - NEONATI/BAMBINI

QUANDO SUPERIAMO I NOSTRI LIMITI

I poteri e le espressioni della vita sono limitate dallo strato organico e ogni uso e consumo di questo strato indebolisce la capacità dell’organismo di funzionare, indebolisce non solo nell’uomo le forze funzionali vegetative, ma riducono tutte le sue capacità organiche così come le sensazioni e il pensiero. E’ saggio dunque imparare a vivere per evitare un uso ed un consumo non compensati del meccanismo vitale.
L’uomo ha certi bisogni biologici e fisiologici che devono essere soddisfatti regolarmente. La fornitura di questi bisogni è normalmente piacevole. L’uomo è costituito in tale modo e le sue relazioni con queste forniture ambientali che soddisfano i suoi bisogni sono tali che procurano del piacere nella loro appropriazione. Tuttavia, sarebbe erroneo supporre che mangiando, per esempio, mentre il cibo è normalmente piacevole da consumare, il piacere ne sia lo scopo finale. Lo scopo principale del cibo è di fornire al corpo i nutrimenti di cui ha bisogno, il piacere è accessorio sebbene desiderabile. Se godiamo mangiando ma mangiamo per soddisfare i nostri bisogni, possiamo essere suscettibili di non superare i nostri limiti.
Se mangiamo solamente per il piacere di mangiare senza nessuna considerazione per i bisogni nutritivi della vita, siamo certi di superare i nostri limiti fisiologici, non solo nella spesa, ma anche nella quantità degli alimenti che prendiamo. E’ così che tendiamo a concentrarci sugli alimenti e le preparazioni che portano il massimo piacere al palato senza considerare la loro attitudine a soddisfare i bisogni della vita. Quando mangiamo unicamente per il piacere, ciò diventa una sorgente doppia di alterazioni. La lezione da trarne non è che bisogna evitare il piacere e ricercare il dolore, ma che non dobbiamo inseguire il piacere come l’oggetto e lo scopo della vita.
Abbiamo inventato dei mezzi di una varietà infinita che toccano le manifestazioni della vita e che aumentano il piacere e il dolore e così abbiamo moltiplicato le cause di malattia. La malattia si evolve perché superiamo i limiti del godimento. Godiamo al di là del nostro potere di recupero. La persona che cerca i piaceri coltivati, soprattutto quelli che portano delle sensazioni anormali o innaturali, deve produrre certamente uno stato di debolezza organica e paralizzare le funzioni della vita.
Riceviamo molti avvertimenti quando le cose non vanno come dovrebbero andare e li ignoriamo o sopprimiamo. Mal di testa, cattivo gusto in bocca, lingua carica, indigestione, malessere addominale, diarrea o stipsi, insonnia, alterazione, crampi, fitte, debolezza, scomparsa della voglia di mangiare, anoressia e altri sintomi simili evanescenti e "insignificanti". I sintomi passano o sono soppressi con l’aspirina, l’Alkaseltzer o un altro medicinale e le loro cause sono ignorate.
La natura trattiene spesso gli avvertimenti che sono ignorati come quando smette di protestare violentemente contro il tabacco o l’alcol e noi siamo costretti allora a cercare le cause in numerose sorgenti indirette, ma ci sbagliamo quando diciamo che una certa malattia è insidiosa nel suo sviluppo. Gli avvertimenti sono ripetuti ma li ignoriamo e li soffochiamo. Il dolore è trattato come un nemico e il suo messaggio non è compreso.
E’ stupido considerare il dolore come un demonio che arriva spontaneamente e che ha bisogno di un esorcismo e di penalità espurgatorie! Il dolore è un istruttore che mostra la strada del miglioramento; non bisogna pensare che sia un nemico. Dovremmo riconoscere piuttosto l’occasione del dolore come un male. E noi dobbiamo sapere che quando abbiamo soppresso il dolore noi non abbiamo scostato la causa. E’ un oltraggio fisiologico rendere i sensi dimentichi del dolore obliterando coi medicinali la capacità o l’abilità di sentire.
La nostra vita sensuale, soprattutto la parte che ci procura del piacere, domina le nostre attività così che la vita diventa una ricerca sfrenata di sovreccitazioni che sciupano le nostre energie. Soffriamo di parecchi dolori che non sono necessari e una grande debolezza a causa degli eccessi di piaceri, soprattutto i piaceri artificiali.
Ciò che si denomina scienza medica non insegna all’uomo di scostare le cause che sono responsabili dell’alterazione fisiologica e di sostituirli con le condizioni che favoriscono una funzione fisiologica normale. Abbiamo bisogno di sapere che le cosiddette diverse malattie e le loro modifiche che provengono dall’inclinazione abituale a superare i nostri limiti, non sono guarite mai a meno che il paziente non comprenda le cause sottostanti della sua malattia e i bisogni del ristabilimento.
Se un uomo è debole o le sue funzioni sono alterate, il ricorso ai tonici e agli stimolanti fa sostituire solamente una forma di sovraffaticamento (spesa) ad un’altra, come è corrente talvolta, senza nemmeno suggerire di cessare la spesa precedente. Il risultato inevitabile è che dopo un corto periodo di sovreccitazione funzionale, si prova una debolezza e un’alterazione funzionale più grande. Un’enervazione addizionale blocca l’eliminazione così che la tossiemia aumenta e la malattia si aggrava.
Ho avuto recentemente conoscenza dei consigli dati ad una donna settuagenaria. Le si dice che con l’età, secerniamo meno enzimi per digerire e metabolizzare gli alimenti. Ma invece di mangiare meno (ha mangiato troppo durante gli anni) finché gli alimenti siano limitati secondo le sue capacità, le si è consigliato di consumare la papaia. Le si spiegò che questo frutto è soprattutto ricco in enzimi che digeriscono le proteine. E se non trova questo frutto, doveva utilizzare la papaia in scatola che troverà nei negozi di regime. Così, invece di rispettare i suoi limiti fisiologici, doveva continuare a superare la sua capacità enzimatica e ricercare un’assistenza dall’esterno, anche di mangiare una papaia i cui enzimi sono tutti distrutti dal calore e dall’immagazzinamento. Non le si consiglia di essere " saggia ", ma di continuare gli abusi. - Dal Dr Shelton, tradotto da A. M.

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